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Collana Nero Inchiostro

PARTE PRIMA


Sono alle stelle!

Patrick m’invita a cena!

Casa sua! Venerdì! Il venerdì di questo mese cade il 13.

Non ha importanza, però. La data conta relativamente.

In più per noi ha valore speciale.

Ecco perché ho accettato e non gli ho detto di scegliere un altro giorno.

Ci siamo adocchiati a una festicciola organiz­zata da amici comuni. La festa di compleanno di Oliviero. Durante la festa il televisore non ha fatto altro che mostrare il film Venerdì 13 tutta sera. Una trovata di Oliviero. Così Patrick ha avuto occasione di attaccare bottone con me. Davanti al film Venerdì 13. Non avevo mai visto Patrick prima. È di Milano. Come me. Non ci siamo, però, mai incrociati, pur avendo amici in comune. Dico, si può inaugurare quella che spero essere una storia d’amore davanti a un film dell’orrore? Eppure è così che le cose sono andate. Ogni volta che la pellicola terminava e scorrevano i titoli di coda, il padrone di casa si avvicinava al televisore con un sorriso a trentasei denti, le gengive bene in vista, regalando occhiate spiritate in giro e riavvolgeva il nastro nella bobina del videoregistratore. Sì, perché il film era in una vecchia videocassetta e il videoregistratore era tutto sferragliante, emetteva sibili, stridii, probabilmente doveva avere qualche rotella arrugginita, quasi come la testa di Oliviero. Quella sera Oliviero avrà riavvolto il nastro della videocassetta almeno tre volte. Urla, immagini di ragazze americane e scene di violenza si mischiavano agli schiamazzi del party.

Oliviero. Che tipo.

Il fatto è che queste considerazioni le faccio adesso. Ma alla festa non ci ho nemmeno fatto troppo caso. Sì, c’era un film horror sul televi­sore. Sì, ridevamo. Qualcuna di noi arrossiva. Qualcun altro faceva commenti ironici. Quando però mi sono seduta sul sofà, non mi ci sono messa per guardare quel film del cavolo. Ero esausta. Avevo bevuto non so quanti bicchierini di vino bianco e birra. Nelle orecchie avevo musica tecno anni novanta. Nelle narici profumo di tartine e delle schifezze sul tavolo del buffet, misto ad acqua di colonia, spray mentolato per l'alito e un fondo sottile ma persistente di marijuana. Volevo solo riposare le gambe un momento. Tutto qui. È stata una festa come non mi capitava di vedere da tempo. Sembravano tutti pazzi. Scalmanati. Ecco Tatiana mettersi in testa uno strano cappello a forma di torta con le candeline. Le candeline erano rosse, verdi, blu. La tesa verde acqua. Il cocuzzolo bianco o beige. Non ricordo bene. Però era tanto buffo. Tatiana era buffissima. Al centro dell’appartamento ci si scatenava come in una pista da ballo. Quando a mezzanotte abbiamo terminato, i vicini devono aver tirato un bel sospiro di sollievo. Magari, invece, erano insoddisfatti, perché non vedevano l’ora che arrivasse mezzanotte e tre e potessero chiamare i carabinieri. C’erano Samantha ed Ettore che ballavano e ballavano. Samantha fa la parrucchiera sui Navigli. In realtà, non è solo una parrucchiera. Ha un esercizio chic. Però mettere le mani nei capelli delle persone rimane mettere le mani nei capelli delle persone. Acconciatrice. Shampista. Parrucchiera, insomma. L’ho vista parlare qualche volta con Patrick. Sempre che “parlare” sia una parola accettabile per descrivere i comportamenti di Samantha. Samantha non parla mai. E nemmeno cammina o prende una cosa o non so. Qualunque cosa faccia, Samantha flirta. Ecco, questa è l’unica parola che si addice a tutto quello che fa. Il verbo «flirtare». Mi piacerebbe piazzarle una telecamera nascosta in casa per vedere se si comporta così anche quando è sola. Per fortuna quella sera Samantha ha flirtato quasi esclusivamente con Ettore. Gli ha anche fatto una spaccata davanti. Ettore balzava al centro del salotto come un’anguilla. Max ha rincorso Oriana con la panna spray. Gliel’ha sparata sui capelli. Sulla faccia. Gridava. Sembrava il film sul televisore di Oliviero. Per quanto mi riguarda ho chiacchierato e basta. Prima con Sergio poi con Enrico. Un po’ con Marcella. Solo qualche momento con Tatiana. Parlava a me ma già flirtava con Ettore. Cavoli, se parli con me, parla con me, no? Mi usava per flirtare con la sua preda.

Samantha. Che tipo.

Il chiacchiericcio, gli schiamazzi, il frastuo­no, dopo un po’ mi rendono esausta. Così dopo un’ora e mezza mi siedo sul sofà. Mi sono messa un tacco 15. I piedi mi fanno male. Le scarpe stringono sulla punta. Probabilmente mi verrà una ciocca. Allungo le gambe. Dopo un momento si siede Patrick accanto a me. Mi al­lunga una birra. Una Beck’s. In bottiglia. L’accetto. Cominciamo a parlare. Patrick ha dei begli occhi color nocciola. Una barbetta lungo il viso. La mascella sporge un po’. Ha un volto mascolino. Una chioma di capelli neri lucenti. Un bel moro. Indossa una maglia blu scuro. Scollo a V. Sotto una maglietta bianca. Una catenina d’oro sottile spunta da un lato del collo. È un particolare che trovo sexy. Ha un buon profumo. Limoni.

Ignoriamo del tutto il film. Patrick fa battute su tutto, ma mai sul film. Sarebbe troppo facile. Prima se la prende col padrone di casa. Oliviero. Passa in rassegna alcuni degli invitati. Poi attacca a parlar male del buffet. Le tartine sono troppo molli. Che cos’è quello che c’è spalmato sopra? Crema di licheni? Il guacamole sa di purea di alghe. Rido. Chiacchieriamo un’oretta. Però non è davvero chiacchierare. Non abbiamo chiacchierato. Almeno non come ho fatto con gli altri invitati alla festa. Piuttosto mi sembrava di uscire da me stessa per andare verso Patrick. Come se stessi cercando di entrargli negli occhi. Come se stessi cercando di travasarmi dentro di lui. Le onde sonore che mi uscivano dalla bocca erano solo il veicolo per cercare di far questo. Ridevo più forte alle sue battute in modo che un po’ della mia anima uscisse meglio fuori ed entrasse dentro di lui. Le narici del bel nasino. I pori della pelle. Tenevo gli occhi più accesi. Anche la bocca la tenevo più socchiusa del solito. Se ho subito pensato di spalancare anche qualcos’altro? Magari in un angolino della testa. Le spalle. Le spalle di Patrick. Dio, che spalle! Ci si sarebbe potuto appoggiare un vassoio di quelle tartine. Anche se sono abbastanza certa che le tartine da molli sarebbero diventate subito dure come pietra. E poi il sorriso. Potrei scrivere un manuale sul sorriso di Patrick. Per prima cosa le labbra. Il labbro inferiore tumido, polposo. Uno spicchio di arancia rossa. I denti bianchissimi. Scendono alla stessa altezza. Le gengive sono allineate. Sono rosse. Non rosso vermiglio come quelle di Oliviero, quelle gengive fanno spavento. Sono di un bel rosa roseo. Come certi astucci per i trucchi delle bambine. Dentatura larga. Lingua grossa. Rosso fuoco. Ma poi è il sorriso in sé. Il modo inconfondibile che ha Patrick di stirare le labbra creando un paio di righe sulle guance. Come solleva un angolo della bocca. Un sorrisetto consapevole. Come di qualcuno che sa qualcosa che altri non sanno. Come di chi appartiene al Club Di Quelli Che Hanno Capito. Sembrerà madornale, l’affermazione di una donna al culmine dell’innamoramento, ma è stato quell’angolino di bocca a trascinarmi più del resto. Come se quel dettaglio fosse il perno attorno al quale qualunque altro particolare ruotasse. Quello era l’involucro incandescente. Lì ho deciso di diventare lo stafilococco di Patrick.

Non si sarebbe più liberato di me.

Dopo un’oretta, a circa metà della festa, Patrick si è alzato ed è tornato a mischiarsi agli altri invitati. Da quel momento nulla è stato più come prima. L’ho tenuto d’occhio. Per vedere se per caso non avesse intenzione di provarci con qualcun'altra. Anche per controllare se qualcun'altra non si fosse accorta di che razza di figo girasse per casa. Ero forse io l’unica a considerarlo così? Un appuntamento. Patrick si era alzato da quel sofà da qualche minuto soltanto e non stavo già più nella pelle. Mancavano solo tre giorni. A casa sua. Avrebbe cucinato lui. Che sballo! Ogni tanto i nostri sguardi s’incrociavano. Ci guardavamo come due persone che hanno già preso accordi e si sono dette tutto. Come chi ha stretto un patto. Quel genere di sguardo. Sono stata l’ultima ad andarmene dalla festa. Non volevo fosse lui a riaccompagnarmi a casa. Volevo seguire le regole del gioco fino alla fine. Mi sembrava più eccitante così piuttosto che chiuderlo in un angolo e sedurlo definitivamente. Doveva essere uno di quelli che preferisce rimandare il piacere della conquista. O poteva essere il segnale che con me Patrick non volesse un flirt e basta. Cercava qualcosa di più serio. Provavo a tenere a freno l’immaginazione. Tentavo anche di frenare l’entusiasmo e l’ottimismo. Siamo stati così parchi di dettagli circa il nostro incontro che forse sono solo io a correre troppo con la fantasia. Magari Patrick mi ha invitato a casa sua solo per avere un po’ di compagnia. Forse ho capito male e a casa sua non saremo soli. Ci sarà anche qualcun altro. Persino altre donne. Chissà. Dagli sguardi che mi ha lanciato mentre mi parlava, però, non mi è sembrato. Anche da certe correnti elettromagnetiche che emanava il suo corpo. Potrei però aver preso un abbaglio. Devo essere ottimista. Se non ha le idee chiare, gliele chiarirò io. Mi vestirò nel modo più irresistibile. Non come alla festa di Oliviero. Andrò con qualcosa di bello tosto.