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Collana Verde Mela

1.

Aprii gli occhi. Sopra di me il soffitto fresco di bianco, pitturato solo una settimana prima insieme al mio ragazzo, o compagno. Non sapevo bene come definirlo, in realtà, ora che eravamo andati a convivere in quello che ai miei occhi sembrava uno splendido appartamento. Credevo fosse da considerare un po' più che un ragazzo, giusto un gradino più su. Forse sarebbe stato meglio chiamarlo col suo nome di battesimo, Carlo. La mia prima convivenza. Come mi sentivo? Strana. Emozionata. Agitata. Strana era la parola più giusta. Non sapevo bene cosa aspettarmi, dopotutto mi era già capitato di dormire dal mio ragazzo/compagno, però il fatto di dover condividere tutto da quel momento in poi mi affascinava e, allo stesso tempo, spaventava un po'. In ogni caso, quello era il primo giorno ufficiale di convivenza, dopo un mese trascorso a sistemare l'appartamento, acquistato a un prezzo di fortuna perché piuttosto malconcio, e a dormire su un grosso materasso di fronte al camino, sul pavimento. Io però ero una ragazza volenterosa e, fortunatamente, Carlo un tuttofare eccezionale, così avevamo risparmiato anche sulle spese di ristrutturazione arrangiandoci da soli. Con uno stipendio da traduttrice letteraria e giornalista part-time non si poteva mica sperperare, giusto? Sorprendente come a un pensiero se ne allacciasse un altro e poi un altro e un altro ancora.

La sveglia suonò solo in quel momento, così capii che erano le sette. Chissà per quanto tempo ero rimasta a pensare e a guardare il mio soffitto bianco. Un braccio si alzò e mi avvolse, attirandomi verso il corpo a cui apparteneva. Carlo sembrava in dormiveglia, però, dopo uno starnuto causato dai miei capelli sparsi sul suo viso, aprì gli occhi.

Buongiorno tesoro... Come stai? Dormito bene?

Avevo dormito bene? In realtà non avevo dormito affatto. L'unica cosa che ricordavo, dei brevi momenti di sonno, erano frammenti senza significato di incubi che mi avevano svegliata di continuo.

Amore?

Caspita! Quasi dimenticavo la sua presenza. Qual era la domanda? Ah, sì.

Non bene, benissimo – dopotutto perché preoccuparlo se non ricordavo cosa avevo sognato?

Sono contento! – Mi baciò sulla tempia, poi si alzò facendo passare una corrente d'aria piacevolmente fresca sotto le coperte.

Eravamo in maggio, il 15, e il sole splendeva già a quell'ora del mattino, promettendo una calda giornata. Accidenti! Era il 15! Avevo una dannata scadenza da rispettare, e sarebbe stata tre giorni dopo! Non riuscivo a ricordare quante pagine mi mancassero da tradurre. Era ora di alzarsi.

Strisciando giù dal letto come un viscido verme stanco e mal riposato, mi trascinai in bagno, dove Carlo era intento a farsi la barba. Mi buttai sotto la doccia sperando di risvegliare i miei sensi con le punte di freccia liquide che si insinuavano sotto la pelle. Se fossi rimasta a lungo sotto quel getto di acqua bollente avrei potuto diventare un buon pezzo di brasato da servire per pranzo! Oggi dovevo darmi da fare e finire quel maledetto libro! Il mio lavoro.

Amavo molto il mio lavoro nonostante fosse mal retribuito. Avevo studiato parecchio per diventare una buona traduttrice di libri. E amavo molto anche fare la giornalista, nonostante mi fossi dedicata fino a quel momento solo a una rubrica settimanale. Dunque anche questo lavoro non fruttava molto denaro. E comunque andavo avanti. Ora che c'era anche Carlo, potevamo sostenerci a vicenda per le spese della casa. Anzi, lui avrebbe sostenuto me, visto che la sua busta paga da ingegnere gestionale era senza ombra di dubbio più corposa.

Che programmi hai per oggi, Gin? – mi chiese.

Devo cercare di finire quel libro orrendo e fare la spesa. Ma la spesa la faccio mentre torno a casa, prima devo fare un salto in ufficio – risposi alzando al voce per farmi sentire.

Il tono era amaro, e a ragione. Il mio ufficio non era altro che una pidocchiosa scrivania in un angolo della redazione del giornale per cui scrivevo la rubrica settimanale chiamata La posta del cuore, nome banale, stupido e poco stimolante. Eppure, contro ogni mia più rosea aspettativa, di lavoro ne avevo eccome: la rubrica usciva solo il fine settimana, nell'allegato al giornale, ma ogni giorno mi dovevo presentare in redazione per leggere le innumerevoli lettere che arrivavano, storie strappalacrime e richieste di aiuto e consigli. Il colmo era che tutto ciò che scrivevo era solo un insieme di stupidaggini. Non ero mai stata brava a risolvere i miei problemi, figuriamoci quelli degli altri.

Cosa mi aveva portato, dunque, a cimentarmi nel compito difficile della scrittrice di una posta del cuore? Domanda legittima. La gavetta, ovviamente. Uscita dall'università, dopo aver guadagnato faticosamente e con impegno una laurea da 110 e lode e aver portato centinaia di copie del mio curriculum pressoché ovunque, mi era stato concesso questo lavoro e io l'avevo accettato, sperando che presto sarei stata promossa o, comunque, avrei potuto dedicarmi a ciò per cui mi ero preparata tanto: la cronaca, credo il gradino più ambito da ogni giornalista e posizione a cui non tutti arrivavano. E forse non ci sarei arrivata neppure io, visto che erano già trascorsi tre anni dal giorno in cui avevo messo piede per la prima volta nella redazione. Per ora, comunque, non avevo tempo di lamentarmi, visto che l'altro lavoro, quello di traduttrice, impegnava le mie giornate tanto quanto quello di giornalista.

Mentre mi perdevo nei ricordi uscii dal bagno con il corpo ancora gocciolante. Carlo odiava quando gironzolavo per la casa bagnando ogni cosa, ma, come si dice, ‘occhio non vede, cuore non duoleʼ: il mio compagno si trovava in cucina e stava facendo colazione. Io non avevo tempo per la colazione. Dovevo precipitarmi nello studio...

Ginevra! Non vieni qui a mangiare?

Verrei volentieri, è solo che sono già le otto e devo assolutamente finire quella traduzione...

Ma senza carburante non puoi certo concentrarti. E poi ho preparato per due.

Ribattere sarebbe stato inutile. In effetti il mio stomaco stava brontolando vergognosamente. Mi sedetti al tavolo e notai con orrore che Carlo aveva preparato una gustosa colazione scozzese. Da quando avevamo fatto quella vacanza in Scozia, l'estate precedente, si era innamorato del cibo tipico e lo proponeva spesso, dove ‘spessoʼ significava ‘ogni volta che entrava per primo in cucinaʼ. Cominciavo a credere che avesse intenzione di uccidermi lentamente, come se al posto del veleno avesse preferito il burro e il bacon. Fortunatamente a volte mi alzavo prima di lui e preparavo una sana colazione a base di cereali e spremute fresche. Sentivo che stavo ingrassando solo a guardare tutte le calorie sparse sul tavolo, anche se quelle salsicce e quel pane tostato spalmato di burro sciolto attiravano la mia attenzione e il mio stomaco, tanto che non seppi resistere.