Collana Giallo Grano
Ma dove stiamo volando?
L'amore non è che il risultato di un incontro casuale. La gente gli dà troppa importanza.
Per questo motivo una buona scopata è tutt'altro che da disprezzare.
Charles Bukowski
«Ma no, davvero non ho niente. Basta Lucia, smettila di psicanalizzare ogni mio sguardo. Te lo ripeto per l’ultima volta. Possibile che voi donne dobbiate sempre rompere le palle, cercare una spiegazione a ogni costo?» Renato si lascia scappare un sospiro scocciato.
«Non ripetermi che non hai niente quando te ne stai lì con quella faccia appesa, almeno non sottovalutare la mia intelligenza» ribatte Lucia sfinita dai recenti continui battibecchi. «Abbi almeno il coraggio di ammettere che ti sei stufato di me, di questa nostra relazione da “trombamici” nobilitata da qualche scambio di monosillabi o di parole vuote, tanto per tirare il momento di scopare. In fondo sei tu che pianifichi, che mi trascini a richiesta in questo tuo avvilente ménage».
«Cos’è, adesso ti sta stretto il ruolo di amante occasionale? L’avevamo chiarito fin dall’inizio, nessuna complicazione, nessun sentimentalismo. Eh già, ma voi donne vi allargate, non appena vi si concede qualche cosina in più. Pensate subito a mettere radici, a una relazione stabile, a traslocare biancheria e accessori».
«Guarda che stava bene anche a me un rapporto senza impegno, però addirittura a comando e senza preavviso, no. Scompari e io non ti devo cercare, e vabbè. Poi telefoni e devo essere a tua disposizione. Ci usiamo per soddisfare i nostri capricci e ok, eccomi qui, ma almeno fingi un minimo di coinvolgimento, prima di levarmi arrapato le mutandine e sbattermi sul letto. Sono una persona, cazzo, anche se fai finta di dimenticartene. Ah già, che cretina: per te non sono altro che puro piacere dal culo sodo. Devo ben valere il conto del ristorante, vero?»
«Ma quanto sei irritante quando fai così! Non hai ancora capito che ho bisogno dei miei spazi?»
«Certo, perché a forza di grattare esce la tua vera personalità, lurido egoista che non sei altro. Ma sai che ti dico? Vaffanculo e per stasera soddisfa i tuoi pruriti da solo o al limite scaricando un bel porno. Ti saluto e non azzardarti a richiamarmi mai più. Sei proprio una persona squallida».
Lucia se ne va sbattendo la porta, incazzata per la scontrosità di Renato.
È un bell'uomo sulla quarantina ma, per carità, come se ne trovano tanti, con teorie sull’imprescindibile infelicità dell’uomo o sull’assurda condizione umana, da rasentare il pessimismo cosmico. Allegria.
Colpevole forse la sua professione di attore teatrale, si era cucito addosso un ruolo da cinico per calarsi nella psiche dei suoi personaggi con spietato acume. Talento ne aveva da vendere, però una volta riposto il copione si trovava anche lui a tu per tu con i propri spettri, a dover convivere con la tristezza che gli intaccava l’anima. Inerme come ogni altro essere raziocinante, e allora era davvero tutt’altra storia.
Portava in scena non solo i capolavori del teatro classico, ma anche pièce di moderna attualità, vicende di loschi complotti e fatali adulteri. Ecco che lo spaccato di vita di coppia che di solito si animava sul palco, denunciava la grettezza di una mentalità ipocrita, nutrita da menzogne per far durare amori precari.
Dove ricercare le vere cause di un tradimento?
Nella genetica, secondo la nota teoria della salvaguardia della specie, nelle circostanze, o nella semplice noia di un rapporto protrattosi nel tempo?
Renato in cuor suo era convinto che i legami fossero effimeri, cedevoli alle lusinghe della carne.
Per questo non si fissava su un’unica compagna, anche se in passato ne aveva amata persino qualcuna per qualche anno, ma cambiava di sera in sera.
Persuaso, insomma, che ogni lasciata è persa, che van godute esperienze di qualsiasi genere, perché il sesso è un impulso vitale come respirare, mangiare o dormire.
Si illudeva che, liberando la bestia trattenuta a stento nelle sue viscere per abbandonarsi a sfrenati eccessi, potesse placare il vuoto della solitudine. Si stordiva con la lussuria della carne e col vino, per ricacciare in gola il pianto di lacrime mai versate.
Arriva il momento in cui ci si accorge, che il tempo andato è ormai perduto e che il futuro è in un attimo presente e ben presto di nuovo passato.
Tutto scorre così rapido da lasciare sgomenti, con l’ansia di realizzare, di stringere qualcuno tra le braccia. O di trattenervi affetti e ricordi.
Ma i legami non occasionali vanno curati, coccolati, condivisi, e l’amore rimane l’unico rimedio per tenerli in essere.
La consapevolezza di aver bruciato la meglio gioventù vivendo a tutto tondo, privandosi però del piacere di sentirsi atteso, desiderato per davvero, lo inabissava negli oscuri meandri del disincanto.
Nessuno sta bene da solo, anche se cerca di convincersene con disperazione.
Gli amici, irrinunciabili capisaldi della sua esistenza e per i quali aveva sacrificato sul nascere storie d’amore, lo consolavano con chiacchiere e qualche drink. Anche loro di fatto si erano persi in storie trascinate e senza più slanci, costellate di tradimenti, bugie, abbandoni e ritorni.
O come Renato, single incalliti.
Marzio ad esempio, l’amico storico che si era sposato una donna più vecchia di qualche anno perché l’aveva per sbaglio messa incinta, condivideva una teoria tutta sua sul tradimento.
«Un conto è andarsi a cercare l’avventura, un altro è cedere se una tipa te la schiaffa sul muso e te la dà, spudorata. Chi è lo scemo che rifiuta? Inutile prendersi in giro. Il matrimonio è una bella istituzione, ma il desiderio dopo un po’ si spegne. Basta che tua moglie non lo scopra e il gioco è fatto. Non ci va di mezzo nessuno e tutti tirano avanti contenti».
E quando Angela, la compagna di Piero, aveva espresso il suo dissenso, l’avevano presa in giro tutti quanti, dandole dell’ingenua.
«Ma che discorso del cazzo fai, Marzio? Davvero comodo usare l’alibi del “mi ha sedotto e ho ceduto”. Tipico di voialtri maschilisti paraculi. Se tua moglie non ti smaschera, occhio non vede cuore non duole, sei a posto? Mi fai schifo e Rosalba mi fa pena. Non le dico niente perché sarei davvero stronza a mettervi nei casini, ma te lo meriteresti proprio. E se fosse lei a cornificarti, saresti spensierato allo stesso modo?»
Dopo la sua sfuriata era calato il gelo. Era schifata dagli amici, che tra l’altro la guardavano con scherno, come una pazza isterica. Forse anche il suo Piero ragionava così, e magari si era regalato pure lui qualche squallida avventura a sua insaputa. Renato era quello che più buttava benzina sul fuoco, il solito bastardo. Convinto di essere il più invidiato, libero come nessun altro, e di poter fare il comodo proprio, senza vincoli di alcun tipo.
Adesso che quella frustrata di Lucia lo aveva piantato in asso di punto in bianco, Renato doveva rimediarne un’altra al volo o scaricare l’eccitazione con l’autoerotismo, ingoiando ancor più amaro. Al diavolo le donne e le loro complicazioni.
Quando sprofondava nella depressione diventava acido o sparava frecciatine ironiche per simulare un equilibrio che non aveva. Il suo appartamento in affitto era anonimo. Ci abitava da anni e non si era ancora preso la briga di svuotare gli scatoloni parcheggiati in un angolo della minuscola sala. La situazione di precarietà si sposava bene col suo essere in bilico, sull’orlo del mondo.
Per sfogarsi, oltre al sesso, era solito correre al parco, ma non sempre funzionava. Quando si ha la testa ingolfata di mali pensieri, il corpo non regge e si sfianca. Aveva inoltre ripreso da poco a fumare come un turco, e il fiato corto non agevolava di certo le sue prestazioni sportive. L’uso della sigaretta elettronica si era rivelato un fallimento perché, com'è logico, non era la la stessa cosa, non gli dava il medesimo gusto.
Così rincasava avido di cibo e ingollava bulimico quello che trovava in frigo. Soddisfaceva tutti gli organi di senso tranne il cuore, arido di attenzioni. Le sbornie notturne soffocavano il disgusto di vivere, zittendo per poco, almeno, l’assordante cacofonia di echi lontani.
Poi una mattina in teatro, tra le comparse di giornata, intravide una giovane donna dagli occhi di prato e pagliuzze di grano. Rimase colpito da quel suo sguardo inquieto, tipico di chi ha vissuto. La zazzera rossa infuocava l’ovale del volto e rimbalzava come un’onda sulle tumide labbra. Minuta, emanava una vitalità frizzante e il sorriso prometteva romantiche seduzioni. Renato la puntò all’istante, incantato da quella sua aura iridescente e con un tuffo al cuore si ritrovò a rimpiangere l’euforia dei suoi vent’anni, quando ancora confidava nel futuro.
Sofia si chiamava, e di anni ne aveva ventiquattro, qualcuno in più di quelli che dimostrava. Dopo averla scelta si trattenne un po’ a parlare con lei e l’invitò d’impulso a pranzare insieme. Sedere con lei, respirare il suo profumo, ascoltare l’eco magico di quelle risate, lo scombussolò a tal punto da farlo quasi star male.
Lui, il professionista tutto d’un pezzo, affascinato da una fanciulla sconosciuta. Inusuale davvero, visto che la noia lo aveva intaccato e non si stupiva più di nulla.
L’avrebbe baciata d’impeto, all’istante, seguendo il suo collaudato istinto da predatore, ma si trattenne.
Per decenza o per non apparirle indemoniato.
D’un tratto, il mondo si era cristallizzato, e tutto gli appariva rarefatto. Se i suoi amici avessero avuto accesso ai suoi pensieri, chissà come l’avrebbero preso per il culo. Di certo, gliel’avrebbero menata perché perdeva tempo con una ragazzina di quasi vent’anni più giovane, anche se a dire il vero Sofia pareva tutto meno che infantile. In fondo a quello sguardo limpido si intravedeva un oscuro turbamento, quello di chi ha sofferto.
Renato non poteva immaginare che Sofia fosse una ragazza madre, sopravvissuta alla disillusione di un amore vissuto solo a metà, nella sua immaginazione.
Sergio, saputo della gravidanza, l’aveva invitata a liberarsene offrendosi di pagare ogni spesa, pur di sottrarsi da quell’impiccio. Le aveva dato dei soldi solo dopo averle chiesto conferma di essere lui il padre… Poi non si era fatto più sentire. Stomacata da tanta freddezza, lei lo aveva mollato su due piedi, non senza essersi data mille volte della cretina.
Solo una sprovveduta poteva farsi sedurre da un deficiente simile.
Doveva riconoscere, però, che era stato abile a incantarla con quei complimenti, studiati per portarsela a letto.
Per di più, aveva subito un umiliante processo dalla sua famiglia, perché con il bimbo in arrivo mandava a puttane il suo piano di studi universitari. Ironia della sorte: era iscritta alla facoltà di medicina e non aveva saputo proteggersi da una gravidanza indesiderata.
Dopo essersene andata di casa, si era trovata di corsa un lavoro come cameriera in una pizzeria che chiudeva alle due di notte, lasciandola libera di giorno. Per assicurarsi un alloggio accudiva Ambrogina, un’anziana ancora autosufficiente, vedova senza figli. Le faceva da dama di compagnia, tenendole pulito il piccolo bilocale e preparandole pranzo e cena.
Se non altro la sfiga non si era accanita del tutto contro Sofia, avendole fatto incontrare quell’arzilla vecchina. Il doppio lavoro la stressava parecchio, nelle sue condizioni, per giunta.
Dopo il parto, terminata l’aspettativa di maternità, avrebbe ripreso il lavoro. I pochi soldi che riusciva a risparmiare, al netto delle spese, non le sarebbero bastati per chiamare una babysitter. Sapeva, per fortuna, di poter affidare la sua creatura a quella tenera nonna adottiva, visto che sua madre non manifestava alcun interesse nel badare al nipotino. Rischiava addirittura di non conoscerlo nemmeno, se i loro rapporti famigliari non si fossero ammorbiditi.
Ora, suo figlio Joshua aveva già tre anni e il peggio sembrava passato. Lo portava alla scuola materna e lo riprendeva in tempo per trascorrere con lui qualche ora, prima di metterlo a letto e correre in pizzeria.
Quel giorno si era presentata all’audizione per comparse con l’intento di guadagnare del denaro extra, anche perché il teatro l’aveva attratta da sempre. In passato aveva nutrito persino velleità di attrice, ma il destino aveva deciso per lei in modo diverso.
La compagnia di quell’affascinante quarantenne dagli occhi teneri e i modi un po’ rudi l’emozionava e la faceva sentire a disagio. Aveva capito che era attratto da lei e ciò l’intimoriva.
Emanava seduzione dal profondo, una sorta di maledizione di cui non si rendeva nemmeno conto. Non che con gli uomini avesse chiuso, intendiamoci, però non si fidava. In aggiunta c’era il problema del bambino, che non poteva lasciare troppo a lungo con Ambrogina, se usciva, e che nessuno dei tipi con cui era andata a bere qualcosa voleva trovarsi tra i piedi.
Ometteva di raccontare di lui, lo teneva al sicuro e si arrabattava al meglio per sopravvivere.
Ma gli appuntamenti al buio, quelli da una botta e via, non le regalavano nulla se non l’euforia del buon sesso. Era sfinita, si trascinava come un automa dalla casa al lavoro e ancora a casa, quando la notte era già fonda. Il tragico era che non intravedeva un futuro, un possibile salto di qualità che le prospettasse un po’ di sollievo. Questi pensieri le offuscavano la mente, mentre addentava un boccone di pizza a tavola con Renato.
«Hai mai tentato di sfondare con la recitazione? Hai un viso espressivo, dimostri spiccata personalità. Ti servirebbe frequentare un corso di dizione e interpretazione, e magari chissà, potrei darti una mano io, se lo desideri» esordì Renato dopo aver sorseggiato del vino bianco.
«A dire il vero non saprei, al momento la mia vita è incasinata, di certo sarebbe un sogno, ma no, ho altri progetti e il teatro non rientra tra questi» aggiunse la ragazza arrossendo.
«Esistono ancora al mondo ragazze capaci di arrossire?» si stupì l’uomo con evidente piacere.
«Sì, purtroppo sì, e questo mi imbarazza di continuo. Ma è più forte di me. Se mi si fa un complimento o si svela la mia timidezza, avvampo come un pomodoro maturo. Soffro di eritrofobia fin da bambina» seguitò mesta Sofia.
«Se potessi verrei lì e ti bacerei. Non sai quanto questa tua ritrosia ecciti un uomo maturo come me. Ma di sicuro lo sai già, vero birichina?» rantolò con fiato roco. «Ti confesso che mi hai stupito, non ho avvertito il gap generazionale ed è stato davvero piacevole pranzare con te. E poi è raro stare a tavola con qualcuno che per tutta la durata del pranzo non ha preso in mano il cellulare. Non ci sono abituato. In questo ambiente dello spettacolo sono tutti schizzati… Promettimi che ti rivedrò domani. Ti conviene accettare, perché so essere molto insistente se mi ci metto».
«No, davvero, domani non posso».
«Lasciami almeno il numero di cellulare che ti chiamo e ci mettiamo d’accordo».
Ecco, era iniziata così tra quei due. Lui non voleva dare un nome al loro stare insieme per precauzione, per mantenersi distante, ma di fatto i loro incontri profumavano di tenerezza più che di sesso. La temeva, perché vicino a lei si sentiva tremare e i brividi del cuore gli vibravano parole che non voleva pronunciare. Era terrorizzato di essere preso da Sofia. Intuiva che la fragilità della ragazza era anche la sua. Lo seduceva quella gestualità dignitosa e consapevole, velata di malinconia. Cognizione che in lui si era inasprita al punto da degenerare in cinismo.
La vedeva dappertutto, la desiderava ogni ora del giorno e della notte, si confondeva persino sul palco mentre recitava le sue battute, ma non lo avrebbe ammesso per nulla al mondo. Non a lei e men che meno a se stesso.
È paradossale che, più si attaccava e la bramava, più l’allontanava trattandola in modo ruvido.
Non tollerava che Sofia avesse piantato l’università, pur ignorandone le ragioni, e che si accontentasse di lavorare come cameriera. Le diceva che si rattristava per lei, per il suo futuro compromesso, ma in realtà si vergognava di presentarla ai suoi amici letterati e di spessore.
Parlando per caso di suo fratello Aldo, sposato e con un bimbo piccino, gli sfuggì quanto detestasse il frignare dei ragazzini, bisognosi di continue attenzioni. Non lo invidiava per niente, vincolato dagli obblighi famigliari, con una moglie asfissiante. Li frequentava molto poco, sia per mancanza di tempo che di voglia. A Sofia si strizzò il cuore nel sentirlo anaffettivo, e fu felice di non avergli confidato il suo segreto, visto che nel profondo si stava già innamorando.
La donna viveva di sogni e di cinema per trovare conforto, per sopportare la quotidianità che la opprimeva. Quando qualche frase di un film la colpiva in maniera particolare, l’annotava in un’agenda per farla sua e poterla rileggere. Di tanto in tanto vi inseriva anche delle poesie. Le ultime citazioni le aveva trascritte ispirata dopo essere stata con Renato, rubandole al film Giovani ribelli. Delusa per non averle pensate lei.
«Ho passato tutta la vita a rendere gli altri felici. È ora che trovi la felicità nel solo modo che vedo possibile.»
Ma quella che amava di più era questa: «Tu, che hai sofferto, trova dove l’amore si nasconde. Dare, condividere, perdere… altrimenti moriamo, non sbocciati».
A Renato capitava sempre così. Si eccitava quando mirava a una preda e per le prime settimane l’adrenalina della conquista gli bastava e lo placava. Poi incominciava a diventare insofferente, a corteggiare altre sottane, a stimolarsi sulla scia di nuovi fremiti.
Ma questa volta, pur smaniando fragranze diverse, provò riguardo per l’ingenuità di Sofia, per quel trasporto che avvertiva sincero.
Non voleva infangare la sua virginale spontaneità, non la voleva condividere con altre ragazze volanti delle quali non si sarebbe nemmeno ricordato il volto. Gli sarebbe parso un sacrilegio, non ce la fece a mortificarla. L’unica alternativa rimaneva quella di liquidarla più in fretta possibile, prima che gli mancasse il coraggio. E difatti accadde, senza una spiegazione, senza un reale perché.
Sofia subì i convenevoli della rottura con dignità, tanto c’era abituata.
Dopo un sofferto abbraccio, corse via di schiena senza voltarsi, per non mostrare gli occhi lucidi di lacrime. Fu una fortuna, così non si accorse del groppo alla gola e dell’espressione disperata di lui.
II crudele carnefice stava soffrendo per quel dovuto abbandono. La respingeva con foga, ma non osava lasciarla andare.
Un filo invisibile li teneva avviluppati, sicché quando si districavano per separarsi, si conficcava nella pelle ferendoli a sangue.
Da quel giorno lui non ebbe più pace, dilaniato dal ricordo di lei e dal sentimento vero di cui aveva scordato il sapore antico.
L’ultima volta che fecero l’amore, non sesso sia chiaro, Renato si interrogò sulla natura di quello stato di grazia domandandosi ma dove stiamo volando? E già il giorno dopo era intenzionato a mollarla.
Anche Sofia, quella stessa notte d’amore, provò un trasporto inspiegato e con simili parole formulò muta pressappoco lo stesso pensiero. Insieme a lui mi par di volare.
Dopo l’addio nulla fu come prima e la peggio l’ebbe di sicuro Renato. Rimuginava di continuo.
Passi i tuoi giorni a costruirti fortezze per non soffrire e basta un tornado dai capelli rossi per annullarti e lasciarti privo di tutto… Se assapori la dolcezza del cioccolato rifiuti l’amaro del fiele…
Perché mai l’ho incontrata, se poi dovevo patire? Al solito sono stato egoista, non ho saputo domare i miei sensi. Mi toccherà scontare questa debolezza per il resto della vita?
Non so se il karma esista davvero, ma mi sta ripagando per tutti quei corpi di donna di cui ho goduto senza sentimento, che rivedo ammucchiati come manichini privi di anima, carne nuda ammassata informe tra i sedimenti dei ricordi… Ma mi pareva di avere amato, di aver donato, di aver condiviso.
No, sono certo di aver amato, donato, condiviso…
Eppure eccomi qui, in ginocchio, fiaccato da una manciata di ore rubate a una ventiquattrenne della quale so così poco.
Per la prima volta mi sono sacrificato per lei, per non farle del male, proprio mentre avvertivo che stavamo volando. Ma il nostro era un volo impossibile, con le ali di Icaro imbastite di piume e di cera, ali che si sarebbero sciolte a un passo dal sole facendoci precipitare.
Ti ho lasciata libera di inseguire i tuoi sogni danzando su quelle tue splendide gambe tornite di marmo, di assaporare la tua giovinezza lontano da me, rinsecchito come corteccia avvizzita, arido come un guscio vuoto.
Questo sarebbe stato un finale da kolossal, il giusto epilogo dove lo stronzo perisce per mano del suo stesso gioco perverso. Degno dell’applauso scrosciante del suo pubblico, sul palco del teatro, mentre cala il sipario, al culmine del pathos. Quasi che lo spettatore nutra persino della compassione per il cinico sopraffatto dall’amore sincero. Un’emozione devastante, persino per lui.
Ma la verità, si sa, è molto meno edulcorata, e certifica senza clemenza che gli uomini in fondo, non cambiano mai, al massimo peggiorano.
Era la prima volta che prendeva coraggio e lasciava una donna. Di solito preferiva farsi mollare per giusta causa, dopo averla esasperata a dovere. Evitava il disagio di sentirsi in colpa, la seccatura di subire ulteriori menate. Una tattica collaudata che funzionava sempre. Superato il fastidio di aver allontanato Sofia dalla propria vita, il Narciso impenitente, o l’amante seriale che dir si voglia, sospirerà e abbozzerà. Già a caccia, pronto a dedicarsi anima e corpo alla prossima conquista, attuando la solita strategia seduttiva di cui è maestro indiscusso. Se alla sua età si ritrova scapolo incallito, e per scelta come sostiene, un motivo ci sarà.
Nulla è più salutare dell’eccitazione di continue scoperte, di nuove epidermidi profumate di sesso.
Lui, da buon esploratore, non apprezzerebbe la rassicurante carezza del tornare a casa e trovare le luci accese. Il calore di un sorriso che lo accoglie per condividere con sentimento l’ordinarietà di ogni giorno.
Renato sa bene che
l’amore non dura per sempre, tanto vale non restarne invischiati…