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Collana Giallo Grano

FONTANELLA

C'è un mondo sotto di noi.

Un mondo che scorre, fruscia, sgocciola, soffia, precipita, spinge, risale e alla fine zampilla. Noi ne approfittiamo e beviamo, ci spruzziamo la faccia, ficchiamo sotto la testa intera, ci sciacquiamo le mani e il collo sudati. Con mille e mille gocce che arrivano da chissà dove.

Non ci pensiamo ma in fondo lo sappiamo, perché le fontanelle mettono sempre allegria. Se dobbiamo stare in coda, non ci innervosiamo perché è bello vedere qualcun altro che trova refrigerio prima di noi: l'attesa rende l'acqua ancora più fresca.

Tutti abbiamo fatto tappa a una fontanella ma per i ciclisti è diverso, la fontanella è un'oasi e perfino un (laico) santuario. Vale la pena macinare chilometri su chilometri, anche in salita, per poter dire alla fine: sono stato alla fontanella di Teolo, sono stato alla fontanella di Gropello d'Adda. Sui Colli Euganei la prima, all'inizio del canale della Martesana la seconda. I ciclisti sono tutti cugini, ma quelli che si servono della stessa fontanella diventano fratelli di sangue. Potranno votare partiti diversi e tifare per squadre acerrime rivali, ma si sono rinfrescati alla stessa fontanella. L'acqua che sgorga senza fine lava via tutto, almeno per un poco.

Se l'amarezza rischia di gonfiarvi il cuore, andate alla fontanella. La vostra.



TRENO IN RITARDO

Le Ferrovie sono come i medici. Pietose.

Le cose brutte ce le dicono un poco per volta. Il paziente è stabile. La situazione si è aggravata, ma non bisogna preoccuparsi. Va peggio, ma il fisico è forte e reagirà. Purtroppo ci ha lasciati...

Così il ritardo sul tabellone: 5 minuti, poi 10, dopo un po' 20, e infine a raffica 30, 45, 60... Qualcuno sbuffa, i più si attaccano al telefono per avvisare i parenti, comprensivi, e capufficio, meno ("Se sapevi che c'era ritardo potevi prendere un treno precedente": vi è mai capitato?), altri si fissano negli occhi per un istante e scatta la solidarietà.

Non hai niente ma proprio niente in comune con questo tipo con un tatuaggio che comincia sul collo e scende e chissà dove finisce. Siete naufraghi sulla stessa zattera: non vi importa da dove venga costui o quale sia il suo mestiere. Siete lì davanti ai numeri che crescono con ritmo implacabile, dovevate arrivare in orario e darete un dispiacere a qualcuno o avrete un problema da risolvere. E allora vi sorridete, scambiate quelle parole che se il treno fosse stato in orario non vi sareste mai scambiati. Lui vi diventa simpatico anche se ha 30 anni di meno e magari adora il rap e divora hamburger, roba da matti.

Vi sorridete: siete entrambi esseri umani e tanto basta. (Tatuaggio, quale tatuaggio?).



OMELIA NOIOSA

Può capitare: il parroco ci rifila un'omelia particolarmente noiosa, priva di guizzi, ripetitiva, sussurrata con tono monotono, interminabile anche se dura i soliti 12 minuti (facciamo 13).

Perché prendercela con lui? Ne deve fare una ogni sette giorni, minimo. Una sessantina all'anno. Neanche un consumato cabarettista riuscirebbe a essere sempre brillante.

Quindi non lamentiamoci dell'omelia noiosa, che invece va elogiata. Non nel senso che sia un bene essere noiosi, ma nel senso che, se capita, riflettiamo: la messa è ben più dell'omelia, importante sì, ma non il cuore della celebrazione. Quindi pazienza.

Ma soprattutto durante l'omelia noiosa non potete andarvene. A una conferenza sì, anzi in casi estremi è d'obbligo alzarsi ostentatamente e abbandonare la sala. Ma a messa rimanete lì, ad ascoltare cose che vi sembrano irrisorie. State facendo esercizio di umiltà e non avete idea di quanto bene vi faccia.

E il parroco? Oh, anche a lui sarà capitato di doversi sorbire l'omelia noiosa di un confratello o superiore, facendo il proprio personale tuffo nell'umiltà.

E se le omelie noiose sono tante? Se esagerano? Elogiatele comunque, perché sono un invito a trovare occasione, parole e tono giusti per dirlo al parroco, con ferma tenerezza. E a quel punto potrete fare domanda come peacekeeping.