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Collana Giallo Grano

PARTE PRIMA

ANNI SETTANTA E DINTORNI


Il dottor Lanza terminò l’ispezione all’arcata dentale della paziente. Luisa, l’assistente anziana dello studio, sistemò i ferri al loro posto.

La signora Perotto dedicava sufficienti attenzioni ai propri denti, tutti in buono stato, e il dentista si complimentò con lei.

«Grazie dottore, cerco sempre di pulirli con scrupolo, ma non si sa mai, ogni tanto un controllino... Il dottore da cui andavo prima, che ora è in pensione, scherzava sempre, diceva che se tutti i suoi pazienti fossero stati come me lui sarebbe morto di fame! Ah, ah, ah, un dentista che muore di fame, ma le pare possibile? Ora c’è il figlio in ambulatorio, ma non ha la stessa mano del padre, lui era leggero come una piuma, ti metteva le mani in bocca e neanche te ne accorgevi! Poi era così gentile! Ora, invece, il figlio... sbrigativo, brusco, sembra che debba fare tutto in fretta per scappare da qualche parte...»

«Signora...»

«… ma i pazienti devono essere messi a loro agio, dico io, un dentista non è mica il medico della mutua, dove vai a farti scrivere le medicine e arrivederci, giusto dottore?»

«Signora...»

«Invece ’sti giovani... sì, mi dica, dottore...»

«L’unico intervento che mi sento di consigliarle è una pulizia accurata, così almeno per un anno siamo tranquilli. Se vuole...»

«Sì, certo, mi dica...»

«… se vuole, può farla anche subito e in pochi minuti tornerà a casa...»

In realtà il dottor Lanza avrebbe voluto spedirla fuori dall’ambulatorio anche prima, ma ora se ne sarebbe occupata l’igienista, lui aveva un’impronta da prendere nello studiolo a fianco.

«Costanza, venga per favore...» chiamò il dentista.

«Costanza! Oh, che bel nome! Mi è sempre piaciuto, se avessi avuto una figlia l’avrei chiamata Costanza, invece ho solo due maschi... In realtà mio marito avrebbe voluto un terzo figlio, e anch’io, per avere anche una femmina, ma non me la sono sentita di affrontare una nova gravidanza, troppa fatica! Sa, dottore, negli anni cinquanta non c’era niente per aiutarti a sopportare il dolore del parto...»

Il dottor Lanza gliel’avrebbe fatta in quel momento un’anestesia. Totale. Invece chiamò ancora con impazienza la ragazza, quei due minuti di ritardo non dovevano diventare tre.

«Costanza!»

L’assistente entrò in ambulatorio trafelata, temendo un rimprovero. Il dottor Lanza non alzava mai la voce.

«Eccomi, dottore, mi scusi... stavo prendendo un appuntamento al telefono».

«Costanza, la signora Perotto necessita di una pulizia accurata: aiuta Luisa, per favore, e osserva con attenzione, ti servirà per il futuro» disse il medico alla sua dipendente, che per poco non scoppiò a ridere per l’esasperazione che si leggeva chiaramente sul volto del suo principale. «Quando hai finito le dai un appuntamento tra un anno... La saluto, signora Perotto, ci vediamo l’anno prossimo» disse il medico sgattaiolando in corridoio. Se avessi un collega a cui scaricarla, pensò.

«Arrivederci dottore, ci vediamo presto!» quasi urlò la signora Perotto.

«Non tanto presto,» sorrise Luisa, «il dottore ha detto tra un anno!»

«Ah, lei è nuova, Costanza, vero?» ricominciò la signora, impaziente di affrontare una nuova conversazione. «Che bel nome! Se avessi avuto una figlia l’avrei chiamata proprio come lei! Invece ho due maschi... uno avrà pressappoco la sua età... quanti anni ha?»

«Quindici...» Veramente li avrebbe compiuti tra qualche settimana, ma non poteva dire che aveva solo quattordici anni.

«Solo quindici? Pensavo qualcuno in più... E lavori già?»

«Sì... avrei voluto studiare lingue, ma...»

«Anche il mio primo figlio ha quasi la tua età, si chiama Massimo, ne farà quindici a settembre, e pensa che quando ero in ospedale a partorire, la mia vicina di letto ha avuto nello stesso giorno una femmina e l’ha chiamata come te. Me lo ricordo perché il nome mi piace proprio tanto...»

Costanza si immobilizzò tenendo il ferretto per la pulizia a mezz’aria. Sbiancò in viso.

«... pensa che coincidenza! Beh? Che c’è? Non ti senti bene?»

«N... no... è che... anch’io sono nata a settembre... il 25, qui a Campo Piemonte. In realtà, quindici anni li devo ancora compiere...»

«No! Non è possibile! Vuoi dirmi che tu sei proprio quella Costanza? Ma che coincidenza incredibile! Ah, ma ti sei fatta proprio una bella signorina, complimenti! Pensa che quando eravamo in ospedale, tu e mio figlio eravate i più rumorosi di tutta la corsia, finiva di urlare Massimo e cominciavi tu, poi finivi tu e cominciava lui, e alla fine piangevate tutti e due insieme! Una disperazione! Le suore non sapevano più cosa fare per tranquillizzarvi. Per fortuna, dopo qualche giorno le altre mamme sono state dimesse e siamo rimaste solo tua mamma e io, così non disturbavamo nessuno».

«Già...»

Costanza era senza parole. Succedeva sempre quando le raccontavano particolari della sua infanzia, un episodio che non ricordava o che le avevano tenuto nascosto. Venire a conoscenza da estranei di aneddoti della sua vita la irritava molto. E se la prendeva sempre con sua madre. Questa volta, però, la mamma avrebbe dovuto darle spiegazioni, questa volta l’avrebbe costretta a dirle tutto quanto, non ne poteva più di risposte evasive o di “non ricordo bene”. Non era più una bambina, aveva un lavoro ora, solo da due mesi, d’accordo, ma un lavoro vero, era una donna!

*



«E chi è la signora Perotti?»

Mamma Lucia non ricordava di aver mai sentito il nome, ma già aveva intuito che quella era un’altra delle curiosità di sua figlia.

«Perotto, mamma. Era la tua vicina di letto in ospedale, quando sono nata io» rispose Costanza con una punta di fastidio. Eccoci di nuovo: a ogni domanda la mamma si ritraeva ed era sempre più difficile ottenere risposte esaurienti.

«Ah, sì, la mia vicina di letto... non mi ricordavo il suo nome, o forse non l’ho mai saputo, chissà...»

«Come facevi a non saperlo? Siete state fianco a fianco per una settimana e non vi siete presentate?»

«Sì... forse sì... non so... non mi ricordo».

«Basta! Sono stufa di “non mi ricordo” o “non lo so”, io voglio sapere tutto quello che mi riguarda, ho diritto di saperlo!»

«Ma perché? Cosa te ne importa? È passato tanto tempo...»

«Tanto tempo un corno!» si inalberò Costanza. «Perché non volete dirmi mai niente? Perché mi nascondete la verità? Credete che non sia in grado di affrontarla? Credete che sia ancora una bambina a cui si raccontano le favole? Prima la nonna qualcosa mi diceva, ma ora anche lei è diventata muta come un pesce!»

«Calmati, Costanza, cerca di capire...» tentò di intervenire la madre.

«Esatto, voglio capire, non voglio calmarmi! In giro mi guardano tutti con occhi compassionevoli, quando va bene, o come un’appestata, i bastardi! Voglio farla finita con questa situazione, perché non lo accetti?»

«Va bene... va bene! Se vuoi sapere di quei giorni in ospedale...»

«Ecco, cominciamo da quelli!»

Costanza si sedette al tavolo della cucina mentre la mamma stava preparando la cena. La nonna in quel momento era da una vicina. Un avversario in meno. Anche il marito di Lucia non era ancora a casa dal lavoro, ma lui non rappresentava mai un problema, dato il suo carattere accomodante.

«Mi sentivo sola, lì in quello stanzone d’ospedale...» cominciò esitante la madre. Non era abituata a rivangare il passato, soprattutto con sua figlia. «In camera con me, in corsia, perché i soldi per una camera singola non li avevamo, c’erano altri sette letti e solo uno era vuoto. Le altre donne avevano continue visite di mariti, parenti, amici, figli piccoli in attesa del fratellino, e quelle che avevano già partorito esibivano almeno un vaso con fiori freschi sul comodino; qualcuna ne aveva due o tre, anche appoggiati a terra, accanto al letto... Ha ragione la signora Perotto, tu e suo figlio siete nati quasi contemporaneamente, e da quando vi hanno portato in corsia non avete quasi mai smesso di piangere. Le suore facevano il possibile per calmarvi, ma noi eravamo in imbarazzo con le altre mamme, pensavamo di disturbare... Il giorno dopo il parto è arrivato in corsia il cappellano dell’ospedale, per benedire i neonati. Si fermava a ogni letto, dava un’occhiata alla cartella appesa alla sponda e impartiva la benedizione. Quando fu davanti al mio letto, l’ultimo della fila, il prete aprì la cartella, diede un’occhiata un po’ torva e poi mi disse: “Vedo che non hai marito, ragazza, mi spiace, non posso benedirti perché hai peccato”. Io mi sentii morire. La signora Perotto, che aveva sentito tutto, si rivolse al parroco a voce piuttosto alta: “Perché, signor prevosto, lei è sicuro che gli altri bambini che ha benedetto qui dentro siano tutti figli di padri legittimi?” Il parroco rimase senza parole, si fece il segno della croce e uscì dalla stanza quasi di corsa con la tonaca svolazzante».

«Bastardo!» esplose Costanza.

«Costanza, per favore, sai che non mi piace sentirti parlare in quel modo!»

La voce di Lucia era quasi un sussurro. Le parole uscivano a fatica, tanto quanto i ricordi dalla sua mente. Sapeva che sarebbe stato doloroso, e ora ne aveva la conferma. Ma sapeva anche che prima o poi sarebbe dovuto accadere, ormai la figlia aveva l'età in cui non si accettano compromessi o sotterfugi.

«Perché, che altro era se non un grandissimo figlio di...?»

«Costanza! Non ho finito. Visto che me l’hai chiesto, ora ascolta fino in fondo. Anche nelle situazioni peggiori c’è un po’ di compassione, ogni tanto».

Costanza sembrò calmarsi in attesa del resto del racconto, ma la tensione le si leggeva in volto.

«Quel giorno anche la signora Perotto ricevette il suo mazzo di fiori dal marito, anzi, due, uno anche dal cognato. L’unico comodino spoglio era il mio. Mi dispiaceva, certo, ma sapevo già che sarebbe andata così, anche se un briciolo di speranza ce l’avevo ancora...»

Lucia sospirò. Smise di affaccendarsi in cucina e si appoggiò di spalle al frigorifero, in piedi di fronte alla figlia.

Costanza le prese le mani e Lucia ne fu stupita, sua figlia non concedeva spesso gesti affettuosi.

«Vai avanti, mamma...»

Lucia sospirò ancora una volta. Provava una strana sensazione, come se l'anima si facesse più leggera. Quel piccolo episodio in ospedale non era certo stato uno dei momenti fondamentali della sua vita, ma poter finalmente raccontare qualche verità alla figlia, senza accomodamenti, le dava un certo sollievo.

«Il giorno successivo il marito della signora Perotto venne ancora a trovarla, con altri fiori. Ricordo che pensai quanto fosse fortunata. Poi successe una cosa che mi lasciò senza parole: l’uomo, anziché andare da sua moglie, si avvicinò al mio letto, da un sacchetto che aveva con sé estrasse un vaso di vetro, mise dentro i fiori e lo appoggiò sul mio comodino con un sorriso. Io cercai di balbettare un ringraziamento, ma mi uscivano solo singhiozzi...»

Al ricordo, Lucia si commosse e voltò il viso, per evitare di mostrare gli occhi lucidi.

Costanza si alzò e abbracciò sua madre. Poi si scostò e allargò le braccia esasperata.

«Ma possibile che nessuno della famiglia ti abbia dato una mano? Cosa facevano la nonna o la zia Delfina mentre tu eri in ospedale?»

«Cosa vuoi che facessero? Venivano a trovarmi, stavano in po’ con me, poi tornavano a casa quando l’orario di visita era finito...»

«Non intendevo quello» la interruppe Costanza. «Per quale motivo non hanno fatto niente, non ti hanno mai aiutata?»

Lucia scosse la testa. Il ricordo di quei giorni non l’aveva mai abbandonata, forse era stato obbligato a rimanere in un angolo della mente per provare a condurre una vita normale, ma era bastata l’insistenza della figlia a rendere perfettamente nitide le immagini sbiadite di quegli anni.

«Sai, eravamo povera gente, e tutte donne, cosa potevamo fare? Gli uomini di casa, quelli che c’erano, pensavano solo a lavorare e a portare a casa quanto bastava per vivere. La nonna era tormentata dalla vergogna, ne sono certa, anche se ha sempre cercato di non farmi sentire in colpa; e comunque sperava che la situazione creasse il minor clamore possibile. Solo zia Delfina aveva un po’ di carattere, ma probabilmente lo indirizzava nel modo sbagliato...»

«Già, zia Delfina! Se era così determinata e autoritaria, perché non si è mai data da fare?»

«Eravamo ignoranti, non sapevamo a chi rivolgerci!»

«Gli avvocati esistevano anche allora, no?»

«Avvocati? Solo la parola ci faceva inorridire: avvocati significava soldi da spendere, grane a non finire, tribunali, per carità!»

«E star fermi a fare niente, cos’ha portato?»

«Veramente, zia Delfina...» disse quasi tra sé Lucia, ma si interruppe immediatamente, pentendosi di aver iniziato la frase. Tuttavia le parole non sfuggirono a Costanza.

«Sì? Cosa fece?»

Lucia proseguì a malincuore. Sapeva che ciò che avrebbe detto avrebbe alimentato altre discussioni. Trasse un respiro profondo e continuò.

«Eravamo in ospedale da poco, tu eri nata due o tre giorni prima. Zia Delfina, seduta accanto a me, mi stava tenendo compagnia In tarda mattinata arrivò una suora e disse: “In ingresso c’è un militare in divisa accompagnato da altri due soldati, dice di chiamarsi Dino Rovera: se vuole, gli porto la bambina da vedere, magari si intenerisce... a volte funziona”. Io non feci in tempo a rispondere che zia Delfina con il suo solito piglio sentenziò: “Ah, no! Se la vuole vedere, viene su lui!”. La suora se ne andò delusa e dopo qualche minuto tornò con aria contrita. “È andato via...” disse con rincrescimento».

«Ma come è possibile?!» intervenne Costanza infuriata, come la madre aveva previsto. «Tu eri la madre, perché ha lasciato decidere a lei? Possibile che comandasse sempre zia Delfina?»

«In casa eravamo abituati così, era lei a prendere le decisioni importanti...» disse Lucia, dispiaciuta come allora.

«E nessuno era in grado di farla tacere?» chiese Costanza ancora in collera.

«Te l’ho detto, uomini in casa ce n’erano pochi e, a parte lo zio Guglielmo, erano tutti parenti acquisiti, non osavano e non volevano intromettersi...»

«Certo, molto comodo!»

«Non essere così severa, tu non puoi sapere come si viveva allora. Non hai idea di quanto sia cambiato il mondo negli ultimi quindici anni».

«Certo, forse allora non sapevate come comportarvi, non avevate nessuno che vi consigliasse, ma oggi...»

«Oggi, cosa?» chiese Lucia perplessa.

«Oggi sarebbe diverso, no? L’hai appena detto che negli ultimi anni il mondo è cambiato» ribatté Costanza.

Negli occhi aveva una luce strana.