Home     Chi siamo     I nostri libri     Collane     Autori

Pubblica     Esordienti     Eventi     Stampa     Contatti


Collana Nero Inchiostro

Cagliari, ottobre 2015.

Ricerca dell’autore all’archivio storico di Cagliari

Faldone 821/48 BIS.

Nel febbraio 2015, partecipando a un corso di fotografia storica, feci una ricerca relativa a vecchie foto della città di Cagliari tra il finire dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Preso dalla bellezza di quelle immagini decisi di rielaborarle avvalendomi della computer grafica. Il lavoro portò via qualche mese, poiché parte del tempo fu impiegato nel valutare il sistema più adatto a trasferirle nella memoria del mio PC. Molte di queste, infatti, erano così fragili da non poter essere digitalizzate con un comune scanner, e di conseguenza resuscitai il desueto ma efficacissimo metodo della riproduzione fotografica analogica.

La mia ferrea determinazione fruttò degli ottimi risultati per cui molte vecchie fotografie di Cagliari tornarono a vivere. In una procedura tutta mia, applicai con precisi fotomontaggi le antiche costruzioni ormai scomparse alle foto recenti della città. In questo modo ricreai dei veri e propri “falsi urbanistici”, i quali rispondevano alla domanda: come sarebbe stata la città se ci fossero state ancora determinate strutture?

Questo lavoro mi portò un gran successo di pubblico e diversi riconoscimenti, nelle varie mostre dove le mie opere furono esposte.

Nelle fasi finali della mia ricerca, prendendo in visione gli ultimi incartamenti che l’assistente dell’archivio storico mi aveva sottoposto, mi imbattei nel faldone 821 e nello specifico in una parte aggiuntiva denominata 48BIS. Allegato a questa sezione trovai una insolita accozzaglia di quaderni neri col dorso rosso, legati insieme da uno spago consunto. Si trattava di quaderni d’epoca, databili tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. La carta era molto rovinata, ingiallita, e parecchi fogli si erano persino distaccati dalla rilegatura. Le copertine risultavano scolorite e in alcuni punti erano stati assaliti dall’umidità che ne aveva determinato un lento ma inesorabile processo di deterioramento. La mia curiosità aumentò, perché scritti in una splendida calligrafia, dotata di artistici svolazzi tipici di quella che un tempo veniva chiamata la “bella scrittura”.

Si trattava, così a prima vista, dei resoconti vergati da un dottore di nome William Reginald Walker, residente a Cagliari nei primi anni del secolo, per la precisione negli anni che andavano dal 1899 al 1915.

Ne restai affascinato, ma essendo scritti in lingua anglosassone, non riuscivo a coglierne il significato. Avevo dunque il bisogno di qualcuno che sapesse tradurli, ma per poterlo fare dovevo portarli fuori dall’archivio e possibilmente farne delle copie.

Risolsi il problema dell’inglese affidandomi alla mia amica, che non finirò mai di ringraziare, l’universitaria Carolina Demuru specializzanda in lingue straniere, la quale accettò ben volentieri di essere coinvolta in quel mistero così intrigante. Per ciò che riguarda la copiatura dei quaderni, ottenni un permesso e con l’ausilio di guanti di cotone per evitare danni, procedetti alla loro digitalizzazione.

Nessuno sapeva nulla di quei quaderni. Non si capiva nemmeno come fossero capitati in quel faldone. L’amministrazione così entrò in possesso di un ennesimo prezioso tassello, che a tutt’oggi è possibile consultare nella sede dell’Archivio Storico della città di Cagliari. I curiosi sono avvisati.

Circa un mese fa il lavoro di traduzione dei primi due taccuini, sulla cui copertina campeggiava la scritta The King’s days, è terminato. Una volta letto tutto in forma integrale, mi sono chiesto cosa avrei potuto fare di quei racconti scritti in maniera così meticolosa da quel giovane dottore inglese.

Da ciò che egli raccontava in quelle pagine, potevo mai accettare che quelle vicende fossero avvenute realmente? La risposta era: certamente no! Non c’era memoria alcuna di quegli strani accadimenti, né il personaggio principale su cui ruotavano quelle storie, tale Conte Rodrigo Asquer de Quesada, risultava mai essere esistito. Il suo nome era come fosse stato ingoiato dalle piaghe purulente di quel turbolento secolo. Neppure i discendenti della antica stirpe degli Asquer, a cui mi rivolsi, seppero dare spiegazioni riguardo quell’insolito personaggio.

Alla fine, d’accordo con un editore, interessato come me a quei diari che narravano oscure vicende, decidemmo semplicemente di pubblicare tutto così come si presentava.

Quasi romanzo, quasi storia vera. Nessuno lo sa. Anzi, colgo l’occasione di estendere la mia ricerca a tutti voi: chiunque ne sapesse qualcosa di più, si faccia avanti e renda

giustizia a quegli avvenimenti una volta per tutte!

Come è giusto che sia, in medio stat virtus.

Così è sempre stato e così sempre sarà…



The King’s Days

William R. Walker


11 aprile 1899

Alba sul mare.


Ho accolto l’alba sul ponte del piroscafo. Il mare è grigio. Da lontano vedo ancora la statica di quelle stesse nuvole nere che questa notte ci hanno imposto la burrasca. Ora seguo la pace trasmessa dalla bonaccia, memore delle onde formidabili e degli schianti che hanno turbato il mio sonno.

In questo luogo chiamato Golfo degli Angeli non v’è beatitudine celeste. Odo soltanto gli stridii dei gabbiani, sulle malconce barche dei pescatori che ci incrociano. Sulla tolda di un peschereccio uno di loro agita il braccio in un saluto. La sua faccia consumata dal tempo è una pietra sfaccettata e rugosa. I suoi tratti come parole incise su un antico sepolcro.

Il pennino graffia la pagina immacolata, trasformando l’inchiostro in parole. Una dietro l’altra, la nera materia fluida diviene indelebile sulla carta.

Ancora per una volta scrivo una cronaca, descrivo le giornate a venire in questa città che mi ospiterà per qualche giorno.

Non so nemmeno perché lo faccio, ma questa abitudine che mi porto dietro dall’adolescenza è difficile da sradicare, così, da un momento all’altro. A volte sono solo annotazioni, brevi frasi, considerazioni gettate là a rammentarmi le ore vissute.

Dove c’è un ricordo, esiste pure una forma sottesa di malinconia. E questa malinconia non è forse la felicità di essere triste? Non sfogliamo nella nostra memoria, riesumandole volta per volta, vecchie storie dove siamo stati protagonisti? Quale male potrebbe esserci, se scrivendole riusciamo invece ad afferrare quei dettagli che la nebbia della nostra ragione tende a dimenticare?

Do vita così a questo nuovo quaderno.

Le pagine aspettano...



11 aprile 1899

Il conte Rodrigo Asquer.


Cagliari vista dal mare aveva l’aspetto ialino del cristallo di rocca. Quel giorno il cielo era terso e immobile, come la sfumatura azzurra di un marmo pregiato. La luce veniva riflessa dalla schiera di palazzi e di povere case, che accozzate l’una all’altra salivano sfacciate verso il Castello. In quella intrepida sfida di equilibrio ci si domandava come potessero reggersi senza cadere a cascata come le tessere di un improbabile domino.

Ho programmato questo viaggio per puro diletto, considerando la Sardegna un luogo esotico a portata di mano. È normale per i giovani nobili valutare un mese in India, oppure un intero anno in Giappone, ma il mio stato sociale non permette luoghi tanto remoti. Vengo da una famiglia piccolo borghese, composta da un padre commerciante e una dolce madre, insegnante di scuola elementare. Ho completato i miei studi in medicina a Roma e iniziato il mio apprendistato in ostetricia sotto l’ala protettiva del dottor Eugenio Manfredonia. Si tratta del mio primo viaggio verso l’isola e l’ho affrontato con entusiasmo. Sotto la spinta del mio mentore consegnerò un’importante missiva al primario di ostetricia dell’Ospedale Civile di Cagliari. Sono giorni di fermento nel nostro campo per cui l’unico modo di scambiare informazioni scientifiche è utilizzare il lento servizio delle Regie Poste. Avere la fortuna di consegnare a mano anche interi plichi e cartelle mediche diventa quindi una benedizione, oltre che un indiscutibile vantaggio. Dunque, oggi sono qui come voce del dottor Manfredonia e come suo assistente qualificato.

Per essere più preciso, reco con me alcune cartelle cliniche di diverse pazienti romane affette da placenta previa, i cui casi si sono risolti positivamente nei nosocomi della capitale. Nell’ambiente medico questo dilemma accende ancora gli animi dei luminari di ostetricia, e le nuove metodologie chirurgiche vengono studiate con enorme dedizione.

Credo saranno giorni molto interessanti dove lo scambio intellettuale sarà intenso. Parleremo inoltre delle procedure igieniche da mettere in atto nelle sale operatorie destinate alle partorienti. È risaputo che la maggioranza delle donne figliava, come d’usanza, nelle proprie abitazioni con l’aiuto di una levatrice esperta, tenendosi alla larga dagli ospedali di cui era conosciuta la poca pulizia. A questi si ricorreva solo all’insorgere di pericolose emorragie o di gravi setticemie. La mortalità delle madri e dei loro bambini nei nosocomi era infatti in netto aumento, a causa delle innumerevoli infezioni post partum dovute alla scarsa igiene generale e a strumentazioni non disinfettate con la giusta cura. Si capisce quindi quanto lo scambio epistolare e la rapidità nel comunicare le informazioni acquisite fosse determinante.

Il porto di Cagliari al mio arrivo non mi fece una grande impressione, eccetto per la presenza in rada di diverse navi da guerra francesi, giunte nel golfo a rendere omaggio alla visita del Re Umberto I e della sua consorte Margherita. Il loro arrivo era previsto per l’indomani. Il monarca avrebbe dato inizio ai lavori del palazzo municipale, presenziando alla posa della prima pietra. Giochi politici, insomma, che giudicai positivamente nella speranza di poter osservare la coppia reale, magari a distanza ravvicinata. Avevo davvero tanto tempo a disposizione e lo avrei sfruttato come meglio avrei ritenuto.

Sceso che fui al molo di ponente, osservai la città sotto la luce accecante di mezzogiorno. Era poco più di una cittadina composta da un nucleo di case popolari, affiancate da qualche palazzo di un certo pregio. Dalla Darsena si dipanavano a nord le vie del quartiere marinaro fervide di attività e traffici di ogni tipo. Verso l’alto notai la rocca, il fulcro centrale di antichissima storia da cui si era successivamente sviluppato il conglomerato urbano. Era abbastanza chiaro quanto le autorità cittadine cercassero di accentrare la città verso il porto, in modo da sviluppare le sue caratteristiche di importante nodo mercantile al centro del Mediterraneo.

Dalle prime impressioni visive, la città mi diede la certezza di essere soggiogata da parecchia incuria e molta povertà. Sul molo fui circondato da una miriade di ragazzini sporchi, malvestiti e coi piedi neri per la loro abitudine di girare scalzi.

Portavano con loro ampie gerle di giunco e si offrivano di trasportare merci all’arrivo di ogni mercantile. Li vidi ruotare i loro cesti con l’abilità di fantastici giocolieri. Parlavano una lingua rozza e incomprensibile dettata da chissà quale demonio.

Mi diressi lungo il molo disseminato di carri trainati da grossi buoi e da asini rinsecchiti e pieni di mosche. Da un lato, verso una pietraia che digradava a mare, c’erano due grossi barconi in secca e una quarantina di botti pronte per essere caricate. Mentre ci passavo notai un uomo semi nudo con sulle spalle un telo bianco di cotone. Mi guardava neanche fossi un animale da circo. Per lui dovevo essere degno di grande curiosità perché se ne stava in piedi, mani sui fianchi, a squadrarmi con un sorriso stampato sul viso.

Era inevitabile che lo guardassi a mia volta, ché mai avevo visto tanta oscenità messa in evidenza. Portava una paglietta elegante sul capo e aveva il corpo abbronzato di un pugile, magro e nervoso come una pantera pronta a spiccare il salto.

Sotto il naso aquilino aveva due baffoni e una barba rossastra che copriva il mento. Per il resto non sembrava particolarmente irsuto tranne nella zona dei genitali, che peraltro esibiva senza un minimo di ritegno. Fumava un grosso sigaro storto dalla puzza irresistibile.